Ad. Plenaria: modalità per l’attribuzione del punteggio all’offerta tecnica
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 14 dicembre 2022, n. 16 ha affermato interessanti principi in tema di attribuzione dei punteggi alle offerte tecniche.
Osservano i giudici di palazzo Spada che i commissari di gara cui è demandato il compito di esprimere una preferenza o un coefficiente numerico, quando procedono alla valutazione degli elementi qualitativi dell’offerta tecnica, possono confrontarsi tra loro in ordine a tali elementi prima di attribuire individualmente il punteggio alle offerte, purché tale confronto non si presti ad una surrettizia introduzione del principio di collegialità, con la formulazione di punteggi precostituiti ex ante, laddove tali valutazioni debbano essere, alla luce del vigente quadro regolatorio, anzitutto di natura esclusivamente individuale.
Con riferimento al metodo del confronto a coppie, in particolare, l’assegnazione di punteggi tutti o in larga parte identici e non differenziati da parte dei tutti i commissari annulla l’individualità della valutazione che, anche a seguito della valutazione collegiale, in una prima fase deve necessariamente mantenere una distinguibile autonomia preferenziale nel confronto tra la singola offerta e le altre in modo da garantire l’assegnazione di coefficienti non meramente ripetitivi e il funzionamento stesso del confronto a coppie.
Le valutazioni espresse dai singoli commissari, nella forma del coefficiente numerico non comparativo, possano ritenersi assorbite nella decisione collegiale finale, in assenza di una disposizione che ne imponga l’autonoma verbalizzazione, mentre per il confronto a coppie la manifestazione della preferenza è e deve essere anzitutto in una prima fase individuale, nel senso sopra precisato, e in quanto tale individualmente espressa e risultante dalla verbalizzazione.
Consiglio di Stato: il prodotto di “ultima generazione” o di “più recente immissione in commercio”
La richiesta del dispositivo “di più recente immissione in commercio” – in assenza di ulteriori e più perspicue indicazioni - significa richiedere la versione del dispositivo più aggiornata in commercio tra quelle esistenti per i dispositivi rispondenti alle caratteristiche minime poste a pena di esclusione”.
Lo afferma la sez. III del Consiglio di Stato (28 febbraio 2023 n. 2070) richiamando la giurisprudenza pronunciatasi su controversie di analogo contenuto aventi parametro selettivo che chiedeva l’offerta di prodotti di “ultima generazione in commercio”, ha ritenuto “preferibile ritenere, pertanto, che la disposizione del capitolato in esame possa essere intesa nel senso di prevedere l’obbligo per l’impresa partecipante di fornire, del modello offerto, la più aggiornata versione in commercio, purché conforme alle esigenze del servizio messo a gara. Il focus della valutazione di adeguatezza si sposta, quindi, sulla considerazione degli specifici requisiti tecnici ai quali, ai sensi del capitolato di gara, le strumentazioni offerte dovevano conformarsi” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 luglio 2022, n. 5627; Cons. Stato, Sez. III, 5 marzo 2019, n. 1536; Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2019, n. 2536; Cons. St. 15 marzo 2019, n. 1713)” (Consiglio di Stato, Sezione III, 21 ottobre 2022, n. 9020).
Consiglio di Stato: aumento dei prezzi e rinegoziazione del contratto
Si segnala un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato sul tema dell’aumento dei prezzi e della possibilità di rinegoziazione del contratto (Consiglio di Stato sez. IV 22 febbraio 2023 n. 1844).
Secondo detta pronuncia, le richieste di rinegoziazione del contratto a seguito del verificarsi di aumenti eccezionali dei prezzi non possono essere ricondotte nell’ambito di applicazione dell’art. 1467 c.c.. Quest’ultima è, infatti, previsione rientrante nello statuto generale del contratto che contempla un’ipotesi di risoluzione giudiziale. Trattasi, pertanto, di rimedio solutorio (e non manutentivo) del contratto, al più, proponibile con domanda dinanzi all'AGO, che nulla ha a che vedere con la revisione prezzi (che è l’unica fattispecie attinente alla fase esecutiva del contrattò rispetto alla quale il G.A. è munito di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 2), c.p.a.).
Secondo i giudici di Palazzo Spada la rinegoziazione dei prezzi può essere richiesta a condizione che, all’atto della stipulazione, l’affidatario non fosse già a conoscenza dell’andamento straordinario ed abnorme del mercato: infatti, in tale situazione non si è neppure di fronte al “verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili” in un momento successivo al perfezionamento del vincolo contrattuale, come richiede, invece, il disposto dell’art. 1467 c.c.
In presenza di clausole che non prevedano l’adeguamento dei prezzi risulta privo di pregio il richiamo ai generali canoni di buona fede e correttezza ex art. 2 Cost. e 1375 c.c.: infatti, l’eventuale eterointegrazione della lex specialis e, di riflesso, ex art. 1374 c.c. del contratto stipulato a valle sulla scorta del canone della buona fede oggettiva è predicabile, sussistendone le condizioni, solo ove sia riscontrabile una lacuna della regolazione e non anche ove vi sia una previsione espressa che escluda expressis verbis la modificabilità del contenuto del negozio per operare una reductio ad aequitatem.
Inoltre, non può predicarsi l’applicazione delle norme in tema di revisione previste dalla legislazione speciale (e, segnatamente, dal D.L. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito nella legge 28 marzo 2022, n. 25, dal D.L. 1° marzo 2022, n. 17, convertito nella legge 27 aprile 2022, n. 34 e dal D.L. 17 maggio 2022, n. 50, convertito nella legge 15 luglio 2022, n. 91 in tema di emergenza da Covid-19): detta operazione ermeneutica si tradurrebbe, infatti, in una vera e propria estensione in via analogica della disciplina, vietata ex art. 14 disp. prel. c.c. in ragione della natura eccezionale delle previsioni in parola.
Ciò in quanto è fuori di dubbio che queste ultime si riferiscano testualmente ai soli appalti di lavori (così, in particolare, la rubrica dell’art. 26 del D.L. n. 50 del 2022 – “Disposizioni urgenti in materia di appalti pubblici di lavori” - nonché l’inciso di cui al suo comma 1 che specifica che la norma si applica “agli appalti pubblici di lavori” e l’impiego in essa della inequivoca locuzione “materiali di costruzione”) e non anche alla diversa fattispecie, che qui viene in rilievo, della fornitura.
In questo senso, non può mancarsi di osservare che l’appalto di lavori ha sempre storicamente trovato un suo statuto giuridico specifico a livello di legislazione speciale in ragione delle caratteristiche intrinseche della prestazione qualificante detto tipo contrattuale (id est un “facere” complesso da eseguire lungo un lasso di tempo dilatato e non un “dare” ad esecuzione immediata, meno esposto al rischio di sopravvenienze negative) e che, a conferma della ragionevolezza di questa differenziazione disciplinatoria, pare deporre lo stesso diritto comune. Non è, infatti, un caso che il codice civile si preoccupi di prevedere, all’art. 1664 c.c., un meccanismo legale di revisione solo per il contratto tipico dell’appalto (avente ad oggetto ex art. 1655 c.c. “il compimento di un’opera o di un servizio”) e non anche per quello di somministrazione (relativo a “prestazioni periodiche o continuative di cose” e che costituisce il modello della “fornitura” ex D.lgs. n. 50 del 2016).
Sempre secondo i giudici di legittimità, in tema di rinegoziazione del contratto per il verificarsi di aumenti eccezionali non può trovare applicazione la disciplina delle varianti in corso d’opera di cui all’articolo 106, comma 1, lett. c), D.lgs. 50/2016. Infatti, le istanze di rinegoziazione concernono principalmente il corrispettivo dell’appalto (in termini di quantum) nonché altre condizioni contrattuali ad esse accessorie (quale la disciplina delle penali o dall’incamerazione delle garanzie definitive). Ebbene, dette richieste variazioni, tutte connesse al lamentato squilibrio contrattuale dovuto all’aumento dei costi di approvvigionamento di materie prime, non sono, neppure in astratto, in grado di determinare il mutamento del tipo contrattuale o della sua struttura. Esse, infatti non incidono in alcun modo sullo schema di base del negozio (che resta quello proprio dell’appalto di forniture costituito dallo scambio di una prestazione di dare verso il corrispettivo di un prezzo monetario) né del suo oggetto (con ciò intendendosi la prestazione corrispettiva qualificante il tipo contrattuale, nel caso di specie, trattandosi di fornitura, quella di “dare”).
Da ciò consegue l’inapplicabilità dell’art. 106, comma 1, lett. c), D.lgs. 50/2016 il quale, per costante insegnamento pretorio, si riferisce, invece, alle sole varianti in corso d’opera che si sostanziano “in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale”. Infatti, allorché le richieste attengono a modifiche del solo corrispettivo, queste vanno invece sussunte nell’ambito della fattispecie di cui alla lettera a) dell’art. 106, comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 – n.d.r., che disciplina gli aspetti economici del contratto con testuale riferimento alle «variazioni dei prezzi e dei costi standard».
Consiglio di Stato: ok all’avvalimento della certificazione di qualità
È legittimo l’avvalimento per la certificazione di qualità.
Lo afferma la IV sezione del Consiglio di Stato (sez. IV 16 gennaio 2023 n. 502 che richiama Consiglio di Stato, sez. III, n. 4418 del 2019; sez. III, n. 3517 del 2015) evidenziando che “Giurisprudenza prevalente, dopo alcuni contrari avvisi, ne ammette oramai pacificamente l’ammissibilità (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. 4 novembre 2016, n. 23; V, 27 luglio 2017, n. 3710; 17 maggio 2018, n. 2953; III, 8 ottobre 2018, n. 5765; V, 10 settembre 2018, n. 5287; 20 novembre 2018, n. 6551; 18 marzo 2019, n. 1730).
E’ stato anche chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto" (così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6125, vedi anche Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1368; Sez. IV, n. 4958 del 2014; Sez. V, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 2953 del 2018).
In caso di avvalimento, quindi, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità.
La giurisprudenza amministrativa ha altresì precisato a più riprese (v. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022) che, qualora oggetto di avvalimento sia la certificazione di qualità, è indispensabile che l'impresa ausiliaria metta a disposizione dell'impresa ausiliata tutta la propria organizzazione aziendale comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2021, n. 6271; Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1730; sez. V, 27 luglio 2017, n. 3710), poiché si tratta di avvalimento complessivo o, meglio, avente ad oggetto un requisito “inscindibile” nel senso che la medesima organizzazione aziendale non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria.
L'avvalimento deve quindi essere effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d’apparato dell’ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (cfr. così, Cons. St., Sez. V, n. 3574 del 2014; Sez. III, n. 3517 del 2015).
In altri termini, l’ausiliaria deve mettere a disposizione dell’ausiliata l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2017, n. 852; Cons. Stato., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2225, con considerazioni riferite al prestito dell’attestazione S.O.A., che valgono a maggior ragione per il prestito della certificazione di qualità). La qualità risulta, infatti, inscindibile dal complesso dell’impresa che rimane in capo all’ausiliaria (Cons. Stato, Sez. V, n. 3710 del 2017).
L’avvalimento riferito alla certificazione di qualità ha dunque carattere complessivo o, meglio, ha ad oggetto un requisito “inscindibile” nel senso che la medesima organizzazione aziendale (comprensiva, non solo del personale operativo, ma anche di quello preposto al controllo di qualità, degli audit periodici) non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022).
Consiglio di Stato: …appalto integrato di secondo grado…
L’appalto integrato cd. “di secondo grado”, disciplinato dall’art. 59, comma 1-bis del D.Lgs. 50/2016, prevede che il concorrente presenti un progetto esecutivo sulla base del progetto definitivo già realizzato dall’Amministrazione. Ne deriva che il potere “ideativo” e “propositivo” dei concorrenti è circoscritto entro i limiti definiti dal livello progettuale posto a base di gara.
Questa gradazione di “intensità” è d’altra parte la stessa che - nel formante interpretativo giurisprudenziale - viene ritenuta determinante per discernere le soluzioni migliorative dalle varianti, sull’assunto per cui “le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante; in tale prospettiva le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
Lo afferma la sezione V del Consiglio di Stato (6 marzo 2023 n. 2261) richiamando un proprio precedente del 2021 (Consiglio di Stato sez. V, n. 7602 del 2021).
Consiglio di Stato: la lex specialis è inderogabile anche se… illegittima!
Secondo il Consiglio di Stato (sez. III 7 febbraio 2023 n. 1299), le prescrizioni dei bandi hanno carattere inderogabile e vincolano anche l'Amministrazione che, pertanto, non può disattendere tali disposizioni, costituenti la cosiddetta lex specialis della gara o del concorso, e, anche nel caso in cui esse siano illegittime, non può disapplicarle (Consiglio di Stato, sez. III, n. 565/2018 che richiama ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1 marzo 2017, n. 963; Cons. St., sez. V, 23 giugno 2014, n. 3150; Cons. St., sez. V, 27 aprile 2011, n. 2476).
Nella pronuncia è altresì precisato come tale ricostruzione non si ponga in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale, richiamato dall'appellante, che impone di preferire l'interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell'interesse al più ampio confronto concorrenziale (v., in questo senso, Cons. St., sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; Cons. St., sez. III, 14 gennaio 2015, n. 58).7.2.
Le citate pronunce, infatti, richiamano tale criterio ermeneutico con riferimento a situazioni di oggettiva incertezza delle clausole del bando, circostanza che, alla luce delle considerazioni svolte, non è ravvisabile nel caso di specie, sicché il principio del favor partecipationis non potrebbe essere utilizzato per modificare surrettiziamente il contenuto dell'art. 11.2 del capitolato.”
Consiglio di Stato: quando va ritenuto legittimo l’avvalimento “premiale”
Il Consiglio di stato torna sull’annosa questione del c.d. avvalimento premiale (Consiglio di Stato sez. V 9 febbraio 2023 n. 1449).
Secondo Palazzo Spada l’avvalimento è utilizzato per fare conseguire all’impresa concorrente il requisito di partecipazione di cui è priva; ma tale utilizzazione non può andare disgiunta da quella valevole anche per ottenere punteggi addizionali per la qualità dell’offerta tecnica “giacché le risorse, i beni e le capacità dell’impresa ausiliaria contemplati nel contratto di avvalimento entrano a far parte organica della complessiva offerta presentata dalla concorrente” (come testualmente affermato già da C.G.A. 15 aprile 2016, n. 109, ma più chiaramente esplicitato da Consiglio di Stato, V, 25 marzo 2021, n. 2526 che qualifica come fisiologica “l’eventualità che l’operatore economico concorrente ricorra all’avvalimento al fine di conseguire i requisiti di cui è carente e, nello strutturare e formulare la propria offerta tecnica, contempli nell’ambito della stessa anche beni o prodotti forniti dall’impresa ausiliaria ovvero mezzi, attrezzature, risorse e personale messi a disposizione da quest’ultima: nel quale caso è evidente che i termini dell’offerta negoziale devono essere apprezzati e valutati in quanto tali, con l’attribuzione dei relativi punteggi, nella prospettiva di un’effettiva messa a disposizione della stazione appaltante all’esito dell’aggiudicazione e dell’affidamento del contratto”).
Si tratta di interpretazione che si lascia preferire all’altra, più rigorosa, che esclude che l’avvalimento possa essere strumento di migliore valutazione dell’offerta anche quando sia servito per consentire la partecipazione alla gara (di cui è espressione Cons. Stato, V, 22 dicembre 2016, n. 5419).
In senso contrario a tale ultimo orientamento giurisprudenziale (da ritenersi superato da quello espresso dalla citata sentenza n.2526/21) su cui si basano le ragioni dell’appellante, va valorizzata - oltre all’argomento fatto proprio dalle decisioni sopra richiamate, circa l’inscindibilità dell’offerta tecnica complessiva del concorrente - la ratio del divieto.
In sintesi, il divieto dell’avvalimento c.d. premiale è stato ritenuto – mediante una rigorosa, letterale, interpretazione delle norme sull’avvalimento, interne e comunitarie, su cui non è necessario svolgere in questa sede, pur plausibili, considerazioni critiche – al fine impedire l’abusivo ricorso all’istituto dell’avvalimento. Tale abuso è però decisamente da escludere nel caso in cui l’avvalimento abbia assolto alla sua funzione ausiliaria tipica derivante dalla messa a disposizione dei requisiti di partecipazione alla gara e, in conseguenza di ciò, abbia completato l’offerta dell’impresa concorrente arricchendola degli elementi meritevoli di punteggio premiale.
Consiglio di Stato: come interpretare la clausola sociale
L’inserimento della clausola sociale comporta per l’offerente il tendenziale obbligo di mantenere i livelli occupazionali del precedente gestore dell’appalto. Tuttavia, è stato da tempo precisato in giurisprudenza che la clausola sociale non obbliga l’aggiudicatario ad assumere tutto il personale in carico all’appaltatore uscente né tanto meno ad applicare le medesime condizioni contrattuali né, infine, a riconoscere l’anzianità pregressa. Per tali ragioni la clausola va formulata e intesa in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario.
Lo afferma il Consiglio di Stato (sez. V 20 marzo 2023 n. 2806) evidenziando che solo in questi termini la clausola sociale è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885; III, 30 gennaio 2019, n. 750; III, 29 gennaio 2019, n. 726; 7 gennaio 2019, n. 142; III, 18 settembre 2018, n. 5444; V, 5 febbraio 2018, n. 731; V, 17 gennaio 2018 n. 272; III 5 maggio 2017, n. 2078; V 7 giugno 2016, n. 2433; III, 30 marzo 2016, n. 1255; Cons. Stato, V, 12 settembre 2019, n. 6148; cfr. anche Cons. Stato, VI, 21 luglio 2020, n. 4665; 24 luglio 2019, n. 5243; V, 12 febbraio 2020, n. 1066).
Per cui, com’è stato ulteriormente precisato (Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2020, n. 4665), sulla scorta di tale lettura della clausola sociale questa va intesa in termini di flessibilità: la stazione appaltante non può imporre un riassorbimento integrale del personale in quanto verrebbe limitata la libera iniziativa economica dell’operatore concorrente; né, d’altro canto, l’elasticità di applicazione della clausola può spingersi fino al punto da legittimare politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro perseguito attraverso la stessa.